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O capitano! Mio capitano!

Hattrick è un mondo fatto di numeri e matematica, in cui si lotta per pompare il centrocampo, dove si venderebbe un rene per la supremazia nel possesso palla. Le valutazioni la fanno da padroni, l'eterno rapporto di amore/odio col Dio Random si consuma ad ogni giornata mentre il Dio prova almeno in parte a bilanciare, a lottare contro la pura matematica. Col risultato di farsi più che altro odiare.

Eppure, anche in questo mondo può subentrare la componente affettiva. Alcuni giocatori possono farlo, alcune volte si può agire contro il buonsenso e ricevere in cambio delle belle soddisfazioni. E creare un capitano a cui siamo affezionati, che mai vorremmo lasciare in panchina. Non importa se abbiamo giocatori più skillati, lui è importante. Non importa se abbiamo giocatori con più esperienza e carisma, magari un future coach appena preso, perché lui è sempre stato con noi. E per questo, la fascia di capitano spetta a lui di diritto. E oggi vi racconterò la mia storia, il mio capitano.

Dopo tanti anni passati a fissare con gli occhi lo schermo del PC, in attesa di uno scatto, di un aumento della forma o del fatidico passaggio da “+1” al cerotto che significa aver recuperato un titolare, non riesco a vedere nei miei giocatori solo un mucchietto di bit, credo di non essere l'unico. Addirittura, sono convinto che alcuni giocatori possano diventano una piccola parte della nostra vita. Ci hanno accompagnati nella nostra crescita, per lunghi stagione, per lunghi anni solari. Le nostre storie si sono in qualche modo legate.
Nei momenti felici, loro erano lì, in un angolo, in silenziosa attesa, fiduciosi che saremmo comunque passati a trovarli.
Nei momenti difficili, mentre noi piangevamo disperati per le brutte notizie, loro erano ancora lì. In un angolo, in silenziosa attesa, pronti a darci conforto, distraendoci per almeno un attimo dalle preoccupazioni della vita reale con la loro presenza. Né più, né meno di quello che fa un buon amico.
Hanno una personalità, un carattere. Anche se non sono vere persone, sono comunque capaci di farci emozionare ed urlare quando segnano, preoccupare quando sono loro a farsi male, arrabbiare quando si mangiano un gol a pochi passi dalla porta o si fanno bruciare sullo scatto dalla maledetta ala veloce avversaria.
Ecco, questa è una di quelle storie, la mia. Un po’ realtà, un po’ fantasia e immaginazione.

E’ il marzo 2010, sono uno sbarbatello che da pochi giorni ho compiuto 17 anni, mancano tre giornate alla fine della stagione 41 e come regalo mi nomino presidente del Limbara calcio: scelgo con un minimo sforzo creativo un nome evocativo della terra dove sono nato e vissuto, visto che il Limbara è il monte che sovrasta la città dove sono nato ed è esistita veramente una squadra dilettantistica con questo nome.
La squadra mi arriva in cattive acque, ultimamente è passata di mano in mano con pochissimi risultati ed è ultima nel girone in decima. Il tempo giusto di una prima amichevole, e poi la prima partita ufficiale contro la capolista (256264031).
Mi asfaltano, ma non posso farci nulla e so che la squadra dovrà essere rivista pesantemente. Sul momento non faccio quasi caso al migliore in campo di quel debutto ufficiale, ma avrei dovuto. La stagione 41 scivolerà poi via con 2 vittorie finali con le quali almeno ho la soddisfazione di non finire ultimo.
Stagione 42, faccio cambiare la musica, passatemi il paragone se dico che si passa da Gigi D'Alessio ai System Of A Down: 13 vittorie e un pari, serie dominata e promozione. In una stagione son già cambiati quasi tutti gli interpreti. Praticamente sono rimasti solo dei giovani registi, che avevo deciso di allenare, e che ho venduto in sequenza nel giro di poche stagioni. Tutti tranne uno.
Ha poco più di vent’anni, un nome semplice e facile da ricordare. Chissà cosa cavolo ci fa in Sardegna, visto che ha un cognome raro e non autoctono. A quanto mi ha saputo dire, è di origine bergamasca ma è diffuso (parola grossa) soprattutto in Piemonte. Comunque non so perché, ma da subito sento che Riccardo Anolli (279481404) ha un futuro davanti a se. Col senno di poi, chi mai avrebbe allenato un centrocampista ventenne buono in primaria, per di più prima che si parlasse di allenamento veloce e di bonus fedeltà per i giocatori nati nella squadra.
Ma fa niente. Mi bastano poche partite, poi decido che lui sarà uno che mi accompagnerà a lungo.
Nella stagione 42 è titolare, migliore in campo ogni volta che gioca. Proprio come alla prima partita ufficiale. Son bastate poche partite, e quel giovanotto inesperto e un po’ impulsivo, ma dotato di una straordinaria forza fisica e gambe possenti, si è già incollato la fascia al braccio, mi fido di lui anche se ha pochissima esperienza. Da qualche parte so che se lo merita, so che lui può farlo, ha qualcosa in più. E’ il mio capitano. L’errore di gestione di cui sono più orgoglioso.
Arriverà una seconda promozione la stagione successiva. Ma la seguente stagione 44 ci è fatale, non siamo pronti dopo il doppio salto. Ultimo posto e retrocessione, si torna in nona. La prima delusione. Un giovane capitano è in lacrime nello spogliatoio. Ma io credo in lui, lo sprono a rialzarsi, perché anche se il calcio è uno sport di squadra, qualcuno è più importante, quel qualcuno in grado di trascinare gli altri con se. Lui si rialza, e trascina gli altri. Non solo si torna subito su, ma si centra addirittura una nuova doppia promozione. Stavolta siamo cresciuti, io sono cresciuto, lui è cresciuto: ci salviamo alla prima stagione in settima dopo la doppia promozione.
Facciamo un salto alla stagione 49, che coincide col mio trasferimento per motivi di studio dalla Sardegna a Torino. Ho finito con un bellissimo esame il liceo, mi sento carico per partire verso una nuova avventura nella quale ho anche dei miei amici al mio fianco. Questo nella realtà. Ma qui? Siamo appena saliti in sesta e sembrerebbe un gran periodo, ma io sono distante con la mente e col cuore dalla squadra. Risultato? Un punto in quattordici partite. Da qui, comincia una piccola serie di tira e molla tra sesta e settima che coincide con un periodo in cui seguo poco la squadra e cerco di rifondare la mia vita in un nuovo ambiente. Non sono molto presente, ma i miei giocatori sanno che non li abbandonerò, e che soprattutto, il capitano non li abbandonerà. Gentilmente si fanno un po' da parte e mi lasciano gli spazi di cui ho bisogno.

Altro salto, fino alla stagione 56, praticamente nel presente: ho ventuno anni e sono ancora, mi tocca ammetterlo ed è dura, sbarbatello. Sono approdato in sesta per la terza volta, ed è la prima in cui sono convinto di potermela giocare: dopo tanto tempo ho ritrovato la voglia di dedicarmi alla squadra, è rinata la scintilla, ed è merito, oltre di un bel periodo in real life, anche degli articoli sul forum e alla rivalità con jackalss e la sua squadra (1524586) nella precedente stagione in settima.
Si parte bene, risultati utili, si rafforza la convinzione di agguantare la salvezza.
Poco prima del giro di boa di metà campionato, un colpo duro. La fine di una storia, la prima che consideravo importante. Sono giovane, sono stupido, sono follemente cotto di lei, fa malissimo. Per due giorni, non trovo nemmeno la forza di piangere.
Ho bisogno di pensare ad altro. E i ruoli della stagione 44 si invertono.
Il mio capitano è sempre lì, ancora titolare, un baluardo che resiste e mi aiuta a non pensarci, a tirare avanti.
Sono cambiate tante cose in queste 15 stagioni. Poche settimane dopo, nel tunnel virtuale che dagli spogliatoi porta al campo, mi accorgo che per l'esattezza solo due cose sono ancora lì invariate. Io come presidente della squadra, e colui che cammina davanti a tutti con attorno al braccio sinistro la fascia da capitano, alla guida dei giocatori in campo.
Sotto un cielo coperto, il fischio d’inizio da il via alla sua duecentesima partita ufficiale (485609115).
Una partita tosta, imprevedibile, contro un avversario temibile. Ma noi siamo forti. Siamo più forti, è una grande partita. La spuntiamo 3 a 2, ci agganciamo al terzo posto, ben oltre gli obiettivi stagionali, si inizia a sognare.
La partita è finita. Ci sono più di trentacinquemila spettatori che urlano. Anche se a spaccare la partita è stato un’artista americano, la folla inneggia ad un solo nome. “Riccardo! Riccardo! Riccardo!”. Lui cammina, stanco, ma felice, a passo lento fa il giro sotto tutti i settori. Per un attimo, è come se il risultato non avesse alcuna importanza. Lacrime di commozione bagnano il suo viso, il braccio sinistro alzato, la mano aperta al cielo saluta tutti con gioia. Mi sta regalando la gioia per rialzarmi.
Le vinciamo tutte da lì alla fine. Riccardo non è in campo per un infortunio negli ultimi turni, sta idealmente al mio fianco in tribuna mentre vinco la serie più combattuta in cui sia mai stato.
Sento che la rabbia è di entrambi, quando perdiamo lo spareggio per salire, ma fa niente, ciò non cambia le cose straordinarie che abbiamo fatto.
Mentre si avvicina l'ennesima stagione, sento che cuore ha iniziato a guarire dalle sue ferite. E il mio capitano è di nuovo pronto per giocare, malgrado l'infortunio a quasi 36 anni di età. In un certo senso, stiamo guarendo insieme. E so ancora una cosa.
Una fascia cingerà ancora quel braccio. Una fascia che pesa ben più della stoffa che la compone: ha il peso di quindici stagioni di battaglie, di ventidue gol ufficiali, di infortuni, di gioie, di dolori, di promozioni, di salvezze e di retrocessioni. Di sangue e gloria, di terra e onore. Lui lo sa. E sa anche che, benché sia un grande peso da sopportare, ha ancora la forza per sostenere quella fascia che il suo presidente guarda con commozione e orgoglio, dall'alto della sua tribuna.

Nota degli Editors: anche voi amate i vostri giocatori e vi piace pensare a loro come a vere persone? Venite a raccontarcelo sul forum (16949695.1)!

2016-03-19 11:00:23, 1110 views

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